I soliti sospetti
@ Sotto le stelle del cinema(The Usual Suspects, USA/1995) di Bryan Singer (106')
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Ci sono tanti modi per rappresentare un enigma. Bryan Singer e lo sceneggiatore Christopher McQuarrie scelgono il più difficile, mescolando sin dal principio le carte in tavola. Coordinate temporali che nel giro di poche sequenze aprono varchi nell’appena accennata linearità del racconto. Partono i ricordi, il teatro del mistero spalanca il suo sipario mentre la voce fuori campo di qualcuno interrogato dagli sbirri comincia a spiegare, descrivere. L’enigma scorre, si impadronisce della pellicola. Alcuni riferimenti saltano agli occhi: Welles, Sergio Leone (il rimando a C’era una volta in America è confermato dal regista), sir Alfred, ma non sono omaggi, sono tracce disseminate su un sentiero della detection. Si può raccontare I soliti sospetti? Si può rendere il senso di precarietà e inquietudine che marchia l’evoluzione della storia? Cinque rapinatori riuniti assieme in una centrale di polizia. Decidono di fare un colpo facile, poi il mestiere prende loro la mano e si ritrovano ingaggiati ‘per forza’ da Kayser Soze, un feroce gangster nascosto nell’ombra. Il resto è un concentrato di colpi di scena, riscontri fasulli e ingannevoli flashback. Gli indizi per accedere alla verità ci sono e Singer li camuffa tra punti esclamativi visivi e frammenti di iconografia della tensione. Non è impossibile scoprire prima della fine l’identità del gran burattinaio, tuttavia le immagini continuano a tradire l’infallibilità di qualsiasi ricostruzione.
Mauro Gervasini
Quello che mi interessa è vincere le aspettative dei pubblico, spiazzarlo in continuazione invitandolo a una più radicale forma di partecipazione. I film con sceneggiature scritte con lo stampino, incapaci di sorprendere e turbare, non mi interessano, finiscono per essere dimenticati al termine della proiezione, i grandi thriller invece sono sempre stati beffardi e controcorrente, poco inclini alle categorie e agli stereotipi. Quante verità ci sono? Una, dieci, cento? La realtà che ci sta di fronte è multiforme, noi possiamo osservarla, studiarla ma finiamo inevitabilmente per conoscere solo ciò che parzialmente appare. Quello che manca è lo sguardo di insieme, siamo distratti da schegge che attraversano la nostra vita, non riusciamo a metterle assieme per dar loro un senso. Nel film ci sono tre personaggi che solo alla fine intravedono la soluzione dell’enigma perché troppo impegnati a ragionare unicamente su singoli elementi del puzzle, senza invece comporre le varie informazioni. Nessuno riesce a vedere il quadro completo.
Bryan Singer