House Of Gucci
@ Arena Puccini(USA/2021) di Ridley Scott (157')
Regia: Ridley Scott
Interpreti: Lady Gaga, Adam Driver, Jared Leto, Jeremy Irons, Al Pacino, Camille Cottin, Salma Hayek, Vincent Riotta, Jack Huston
Origine e produzione: USA, Italia / Ridley Scott, Giannina Scott, Kevin Walsh, Mark Huffam, MetroGoldwyn-Mayer, Bron Studios, Scott Free Productions
Durata: 157’
Sul finire degli anni Settanta, Patrizia Reggiani, una outsider di umili origini, sposa Maurizio Gucci, rampollo della nota maison di moda italiana. La sua sfrenata ambizione innescherà una pericolosa spirale di tradimenti, decadenza e vendetta.
“«Non mi considero innocente, ma neanche colpevole» ha detto la vera Patrizia Reggiani, intervistata a ridosso dell’uscita del biopic, in merito all’omicidio di Maurizio Gucci per il quale nel 1995 è stata condannata come mandante: una battuta che, ci scommettiamo, regista e sceneggiatori rimpiangono di non aver avuto a disposizione per il film, perché quelle parole ambivalenti, fintamente sibilline e in ultima analisi vuote sono perfettamente in linea con House of Gucci. Il vecchio leone Scott mette in scena la saga di una famiglia avidamente attaccata a un impero della moda ormai atrofizzato e destinato a rifiorire nelle mani di Maurizio e su spinta dell’aspirante socialite Reggiani, dirigendola come una farsa greve, lanciata a tempo di musica e battute scult verso il destino fatale della casata (perché se il marchio è tutt’ora ai vertici dell’industria della moda, come il cartello finale ci ricorda non c’è più alcun Gucci a gestirlo). Scott, con l’anima da pubblicitario che da sempre gli consente di intercettare con acume lo spirito del tempo e di farne attraente confezione, segue con distacco quasi atarassico l’avvilupparsi di Reggiani (una Lady Gaga sempre più brava) nel bisogno di fama e di riconoscimento, affidando la prima parte della saga al suo arrivismo energico e contagioso, salvo poi slittare verso il punto di vista di Maurizio (un Adam Driver di impeccabile goffaggine).”
Ilaria Feole, “FilmTV”
“Quando Aldo Gucci difende le copie tarocche di accessori griffati che lo stesso brand ha fatto sì che invadessero i marciapiedi, in qualche maniera sta anche indicando una definizione precisa della poetica di Scott sin dagli esordi: “non sono copie, sono repliche”. Da Blade Runner a Tutti i soldi del mondo, la tensione sotterranea nelle opere del cineasta è sempre quella che si agita tra originale e falso (d’autore?), come Baby can I hold you di Tracy Chapman ma nella versione di Pavarotti & Friends che chiude il film, esplicitando definitivamente l’operazione effettuata sul linguaggio di House of Gucci, la lingua e l’immaginario italiani di riferimento. […]
Tutti gli altri sono impostori, e anche questo Scott lo dichiara da subito, con la festa in maschera in cui Maurizio e Patrizia si conoscono, dove lui apostrofa lei come “Elizabeth Taylor” e lei scambia il rampollo per il barman del party. […]
Si tratta di un discorso che Scott porta avanti da sempre, fino agli anni recenti dei geni della truffa, dei body of lies e dei counselor – per non dire di American Gangster che è davvero un film concettualmente vicinissimo a Gucci: se lo sguardo che ha “inventato” gli anni ‘80 del cinema hollywoodiano sembra aver ritrovato una certa guascona spudoratezza, gran parte del merito (qualcuno direbbe della colpa) è della nuova rutilante generazione della serialità “patinata” (ma quanta abissale differenza c’è tra la televisione da cui partivano i fratelli Scott e questa?), come notammo già per Tutti i soldi del mondo e Last Duel.”
Sergio Sozzo, “Sentieri Selvaggi”